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MILK Film con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggio
  Stampa questa scheda Data della recensione: 23 gennaio 2009
 
di Gus Van Sant, con Sean Penn, Josh Brolin, Emile Hirsch, Diego Luna, James Franco (Stati Uniti, 2008)
 
Espressione dell'immediatezza figurativa per eccellenza, il cinema rispecchia talvolta con esaltante puntualità gli umori contemporanei. Cinque anni dopo la Palma d'Oro di ELEPHANT, l'ultimo film di Gus Van Sant esce negli Stati Uniti pochi mesi prima che la parole di Barak Obama facciano il giro del mondo: “il vero carattere di una nazione nasce dalla capacità di superare ogni ostacolo, barriera o differenza, democratici e repubblicani, bianchi e neri, asiatici e latinos, gay e non, insieme potremo farcela”. Concretamente indirizzato al cuore della società, meno libero di abbandonarsi all'invenzione poetica degli stravolgimenti adolescenziali di ELEPHANT, GERRY o PARANOID PARK, MILK incide mirabilmente con la forza della sua commozione, la lucidità trattenuta del proprio discorso politico nel mondo che ci circonda. Anche se apparentemente più conforme di quei precedenti alle regole della narrativa hollywoodiana (il che è un aspetto di una parte della filmografia di Van Sant, da WILL HUNTING a SCOPRENDO FORRESTER), più implosivo nell'obbliga della biografia e quindi meno spalancato a quegli abissi spaziali e temporali che fanno di PARANOID PARK, ELEPHANT o GERRY delle esperienze uniche, il film segna un momento importante e sincero nella filmografia di uno dei maggiori registi contemporanei.

Quella di Harvey Milk, consigliere comunale di San Francisco ucciso a colpi di pistola nel 1978 dal collega Dan White, primo omosessuale dichiarato a essere eletto negli Stati Uniti ad un'alta carica pubblica non è uno di quei “biopic” che risalgano al protagonista in fasce. Si proietta invece, in pieno privato, dapprima, e quindi nel pubblico della San Francisco degli anni Settanta. Dove si sposta il quarantenne evaso dall'anonimato di Wall Street incontrando l'amore, l'esigenza dell' “outing”, la militanza fra gli attivisti gay, l'affermazione a figura carismatica per ogni sorta di discriminato ed emarginato. Fino a conquistare, oltre allo status di martire conferitogli da una di quelle brutali uscite di scena alle quali l'America ci ha abituato, la fama nazionale: promotore delle parità degli omosessuali, oppositore alla legge che voleva bandirli dall'insegnamento nelle scuole dello Stato.

Il merito, l'arte di Gus Van Sant (e quella dell'estensione del suo occhio nella cinepresa, l'interpretazione incredibilmente misurata e concentrata di Sean Penn; oltre che di tutto il resto del cast) consiste nell'avere smitizzato l'itinerario sociale e politico. Di averlo espresso nell'interiorizzazione dei personaggi, la fragilità del compagno di Milk, la frustrazione ma soprattutto il processo d'identificazione di colui che ne diverrà l'assassino. Nell'intimismo giustissimo con il protagonista, i suoi entusiasmi ancora adolescenziali, la foga della controcultura, l'energia dirompente corrosa dalle avversità, le risate della gioventù, i sorrisi della seduzione e la presa di coscienza della maturità, la provocazione e la consapevolezza. Un'alternanza nella genuinità delle situazioni che il regista traduce con la fluidità impeccabile del montaggio nel tempo, la sua tipica maestria nel confondere le immagini autentiche d'epoca a quelle inventate, nel fondere senza urti e compiacimenti, con la stessa ansia di libertà e di affermazione morale che anima la sua storia, elementi disparati come il sesso e l'impegno politico, l'amore e la violenza, la tradizione e l'età moderna, il documento e la fiction.

A somiglianza dei ragazzini di ELEPHANT e PARANOID PARK Harvey Milk non può allora che evolvere nel senso predestinato; a differenza, il suo sacrificio è segnato da un'esigenza di apertura e solidarietà non molto dissimile da quella invocata trent'anni dopo dal nuovo Presidente degli Stati Uniti.


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